Wednesday, January 20, 2021 - Network: [Magicamente.net - Storie e Poesie] [Quiz Arena - L'app dei quiz online] | |||||
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coppermine
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Achmatova
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Novità
Nati il 7 marzo
Postato da Grazia01 il Giovedì, 07 marzo @ 13:07:41 CET (1267 letture)
![]() ![]() Il 7 marzo del 1785 nacque a Milano Alessandro Manzoni. e il 7 marzo del 1869 nacque a Nantes il pittore Paul Émile Chabas, ecco alcuni dipinti del pittore ad accompagnare i brani del grande Manzoni ![]() Dio non turba la gioia dei suoi, se non per preparare una cosa più grande. ![]() Non sempre ciò che vien dopo è progresso. ![]() Ma noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati, ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile. da "I promessi sposi" ![]() E s'inoltrava in quell'età così critica, nella quale par che entri nell'animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte l'inclinazioni, tutte l'idee, e qualche volta le trasforma, o le rivolge a un corso impreveduto. da "I promessi sposi" ![]() L'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova su un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena stà accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire, qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo insomma, a un di presso, alla storia di prima. ![]() L'Onda Come scorrea la calda sabbia lieve Per entro il cavo della mano in ozio Il cor sentì che il giorno era più breve E un'anzia repentina il cor massalse 5 Per l'apprezzar dell'umido equinozio 10 Che offusca l'oro delle spiagge salse Alla sabbia del tempo urna la mano Era clessidra il cor mio palpitante l'ombra crescente dogni stelo vano Quasi ombra d'ago in tacito quadrante. GLI ILLUSTRATORI DEI PROMESSI SPOSI
Postato da Grazia01 il Domenica, 25 settembre @ 15:01:49 CEST (1717 letture)
![]() GLI ILLUSTRATORI DEI PROMESSI SPOSI La varietà di temi storici e psicologici de I promessi sposi si è rivelata fonte preziosa d'ispirazione per pittori, disegnatori e incisori delle più diverse tendenze. Nicola Cianfanelli (1793-1848), pittore d'affresco, ci offre, in questi lavori di palazzo Pitti, in Firenze, un racconto de I promessi sposi, che svela caratteri e sentimenti attraverso una studiata mobilità dell'immagine ![]() don Rodrigo insidia Lucia ![]() Lucia prova l'abito di nozze La bravura del Cianfanelli non si rivela soltanto nella precisione psicologica del racconto pittorico, ma anche e forse di più, nella scelta degli episodi da ricostruire. E il caso degli affreschi qui riprodotti, il cui fascino è particolarmente affidato all'atmosfera sospesa, all' aspettazione misteriosa di qualcosa che deve ancora accadere. ![]() Fra Cristoforo chiede perdono al fratello dell'uomo che ha ucciso, e non sa che risposta gli verrà data ![]() il Griso, travestito, spia l'interno della casa di Lucia, risvegliando oscuri presentimenti ![]() Agnese e i promessi sposi sbarcano sulla riva destra dell'Adda tre episodi che suggeriscono molto di più di quanto facciano vedere, e che, attraverso questa allusività, catturano l'attenzione dello spettatore e ne impegnano emotivamente la fantasia. I promessi Sposi
Postato da Grazia01 il Lunedì, 29 agosto @ 19:15:13 CEST (1105 letture)
![]() ![]() A Parigi il Manzoni legge, nel '19-20, l'lvanoe di Walter Scott, e si entusiasma nella scoperta della più vasta possibilità che il romanzo offre, rispetto al teatro, di rappresentare un momento della storia, e i sentimenti, le azioni, la cultura degli uomini, grandi e no, di quel momento. Il 24 aprile 1821 interrompe l'Adelchi e stende i primi due capitoli, Il curato e Fermo. E’ poi la volta dell'Introduzione. Ritorna sulla tragedia, che conclude; e il Fermo e Lucia - questo il titolo del progetto - attese la primavera successiva per riprendere la crescita. Anche perché le fonti da studiarsi, per comprendere il Seicento, erano molte. DALL' ADELCHI
Postato da Grazia01 il Domenica, 07 agosto @ 19:22:41 CEST (885 letture)
![]() DALL' ADELCHI Ermengarda, sorella di Adlchi, e sposa ripudiata di Carlomagno, muore offrendo il suo innocente dolore ad espiazione dei mali e delle colpe della sua stirpe, "cui fu gloria il non aver pietà". ![]() ATTO IV - CORO Sparsa le trecce morbide Sull'affannoso petto, Lenta le palme, e rorida Di morte il bianco aspetto, Giace la pia, col tremolo Sguardo cercando il ciel. Cessa il compianto: unanime S'innalza una preghiera: Calata in su la gelida Fronte, una man leggiera Sulla pupilla cerula. Stende l'estremo vel. DA IL CONTE DI CARMAGNOLA
Postato da Grazia01 il Domenica, 07 agosto @ 19:16:18 CEST (1108 letture)
![]() DA IL CONTE DI CARMAGNOLA Il coro commenta amaramente la vittoria del condottiero piemontese, al soldo della Repubblica veneta, contro il duca milanese Filippo Maria Visconti: "I fratelli hanno ucciso i fratelli". ![]() ATTO II - CORO S'ode a destra uno squillo di tromba; A sinistra risponde uno squillo: D'ambo i lati calpesto rimbomba Da cavalli e da fanti il terreno Quinci spunta per l'aria un vessillo; Quindi un altro s'avanza spiegato: Ecco appare un drappello schierato; Ecco un altro che incontro gli vien. Già di mezzo sparito è il terreno; Già le spade rispingon le spade; L'un dell'altro le immerge nel seno; Gronda il sangue; raddoppia il ferir. - Chi son essi? Alle belle contrade Qual ne venne straniero a far guerra? Qual è quei che ha giurato la terra Dove nacque far salva, o morir? Tragedie
Postato da Grazia01 il Domenica, 07 agosto @ 19:06:00 CEST (935 letture)
![]() TRAGEDIE ![]() IL CONTE DI CARMAGNOLA L'idea di una tragedia sulle guerre di Signorie italiane del Quattrocento gli nacque dalla lettura delle potenti pagine del Sismondi, Storia delle repubbliche italiane. Ne parla con entusiasmo al Fauriel: scrivere teatro significava, anzitutto, una differenziazione, anche nei principi estetici, dai precedenti scrittori, e inserirsi, con parola sorprendente, nel gran dibattito romantico d'Italia (Lombardia) e d'Europa (Germania e Francia). Due atti si strutturano e prendono forma molto lentamente, dal gennaio al dicembre 1816 il primo, entro l'estate 1817 il secondo. Il Manzoni li sottoporrà poi alla rilettura dell'amico Ermes Visconti, e ne seguirà, nella correzione, i consigli. Il '17 è anno di crisi: la tragedia attende, e sullo scrittoio si aprono i quaderni della Pentecoste e della Morale cattolica. Ma concludere questi trattati, è stato a ragione messo in luce, comportava anche la messa a fuoco del problema essenziale della poetica manzoniana, quello della moralità dell'arte, che, al momento, era problema della « moralità della tragedia! Bossuet, Nicole e Rousseau hanno avanzato delle riserve, che si possono risolvere, che nessuno ha risolto, che io risolvo ». Che la parentesi biennale, di riflessione teoretica, abbia dato dei frutti, lo prova il fatto che, iniziato il terzo atto il 5 luglio, il 12 agosto la tragedia è conclusa. Quando il 14 settembre la famiglia parte per Parigi, una copia è già sotto l'occhio della censura austriaca per l'approvazione: che verrà il 29. LA MILANO DEL MANZONI
Postato da Grazia01 il Lunedì, 25 luglio @ 21:27:46 CEST (935 letture)
![]() LA MILANO DEL MANZONI La "sua" città, con le strade, i palazzi, le Piazze e gli angoli più tipici, nelle testimonianze di alcuni fra i più brillanti vedutisti dell'epoca. Seguendo i canoni romantici dell'aderenza al vero e a scene di vita usuale, nel primo Ottocento s'inaugura anche a Milano la cosiddetta pittura vedutistica. ![]() Protagonista è lo scenografo Giovanni Migliora (1785-1837), insegnante di prospettiva a Brera, di cui qui sopra vediamo Il cortile centrale dell'Ospedale Maggiore. IL CINQUE MAGGIO
Postato da Grazia01 il Lunedì, 25 luglio @ 21:15:19 CEST (1014 letture)
![]() ![]() DALLE ODI La morte di Napoleone Bonaparte offre al poeta lo spunto per una profonda analisi dell'esistenza: la gloria e il successo dell'uomo sono ombre della memoria, polvere di fronte allo svelarsi dell'eternità. IL CINQUE MAGGIO Ei fu. Siccome immobile, Dato il mortal sospiro, Stette la spoglia immemore Orba di tanto spiro, Così percossa, attonita La terra al nunzio sta, ODI
Postato da Grazia01 il Lunedì, 25 luglio @ 21:10:44 CEST (850 letture)
![]() ![]() ODI IL 5 MAGGIO. Fu pensata e composta tra il 17 e il 26 luglio 1821. La censura rifiutò il visto per la stampa: per riguardo all'autore, il censore in persona, il Bellisomi, si recò a restituirgli una delle due copie, non autografe, inviate per l'approvazione. Ma la copia che doveva rimanere in ufficio, come aveva previsto il Manzoni, ne usci e il testo dell'ode si diffuse. Il Goethe ne pubblicò una traduzione nel '22; l'anno successivo l'editore Marietti la stampava a Torino nel testo italiano. L'edizione definitiva, con lievi ritocchi, è nelle Opere varie. LA PENTECOSTE
Postato da Grazia01 il Mercoledì, 29 giugno @ 19:08:55 CEST (1002 letture)
INNI SACRI
Postato da Grazia01 il Mercoledì, 29 giugno @ 19:00:58 CEST (989 letture)
![]() ![]() INNI SACRI Nei progetti del Manzoni, questi Inni, esplicito segno della sua nuova poesia, dovevano essere dodici: /Il Natale, L'Epifania, La Passione, La Risurrezione, L'Ascensione, La Pentecoste, Il Corpo del Signore, La Cattedra di S. Pietro, L'Assunzione, Il Nome di Maria, Ognissanti, I Morti. Come si vede, tutte le feste più popolari dell'anno liturgico. Dei dodici solo cinque, si è detto, furono compiuti ed editi: Il Natale, La Passione, La Risurrezione, Il Nome di Maria, tra l'aprile 1812 e l'ottobre 1815; a questi si aggiunse La Pentecoste, sette anni più tardi. IL NATALE. La nascita del Messia (nome da non cercare nella lirica, dove neppure si incontrano « Salvatore, Cristo, Gesù ») è rivissuta nello spirito della commemorazione liturgica e del Vangelo; e il significato è dichiarato in paragoni, interpretazioni, in tutto un sentimento di raccolta e stupefatta serenità diffuso in versi di rettorica insieme alta e umile, sempre suggestiva. Il Trionfo della Liberta - Canto terzo e quarto
Postato da Grazia01 il Mercoledì, 22 giugno @ 08:14:56 CEST (1333 letture)
![]() continua da Canto terzo I tronchi detti, e il lagrimoso volto Di quella generosa Anima bella Avean là tutto il mio pensier raccolto, Quando tutto a sé 'l trasse una novella Turba, che di rincontro a me venia, D'abito più recente e di favella. Confuso e irresoluto io me ne gia, Com'uom che in terra sconosciuta mova, Che lento lento dubbiando s'avvia. Ed erano color che per la nova Libertade s'alzar fra l'alme prime, Di sé lasciando memoranda prova. Grandeggiava fra queste una sublime Alma, come fra 'l salcio umile e l'orno (10) Torreggian de' cipressi alto le cime. Avea di belle piaghe il seno adorno, Che vibravan di luce accesa lampa, E fean più chiaro quel sereno giorno; Che men rifulge il sol quando più avvampa, E sovra noi da lo stellato arringo L'orme fiammanti più diritte stampa. Allor ch'egli me vide il piè ramingo Traggere incerto per l'ignota riva, Meditabondo tacito e solingo, A me corse, gridando: Anima viva, Che qua se' giunta, u' solo per virtute, E per amor di Libertà s'arriva; Italia mia che fa? di sue ferute È sana alfine? è in libertate? è in calma? O guerra ancor la strazia e servitute? Io prodigo le fui di non vil alma, E nel cruento suo grembo ospitale Giacqui barbaro pondo, estrania salma. Né m'accolse nel seno il suol natale, Né dolce in su le ceneri agghiacciate Il suon discese del materno vale. «Barbaro estranio tu? non son sì ingrate L'anime Italiane, e non è spento L'antico senso in lor de la pietate. Oh qual non fece Insubria mia lamento Più sul tuo fato, che sul suo periglio! Ahi! con lagrime ancor me ne rammento. E te, discinta e scarmigliata, figlio Chiamò, baciando il tronco amato e santo, E con la destra ti compose il ciglio. E adorò 'l tuo cipresso al quale accanto Il caro germogliò lauro e l'ulivo, Che i rai le terse del bilustre pianto. Li terse? ahi no! che a lei costonne un rivo, Che inondò i membri inanimati e rubri Di te, che 'n cielo e ne' bei cor se' vivo. 'Deh! resti a noi', dicean le rive Insubri, 'Deh! resti a noi', ma l'onorata spoglia Trasse Francia gelosa a' suoi delubri. Ma de l'itala sorte, onde t'invoglia Tanto desio, come farò parola? Che un seme di Tiranni vi germoglia. E sotto al giogo de la greve stola La gran Donna del Lazio il collo spinse, E guata le catene, e si consola. E Partenope serve a lei che vinse In crudeltà la Maga empia di Colco, E de' più disumani il grido estinse. E il Siculo e 'l Calabro bifolco Frange a crudo signor le dure glebe, E riga di sudore il non suo solco. Al mio dir disiosa urtò la plebe Un'ombra, sì com'irco spinge e cozza In su l'uscita le ammucchiate zebe. Avea i luridi solchi in su la strozza Del capestro, e la guancia scarna e smunta, E la chioma di polve e sangue sozza. E' surse de le piante in su la punta, Come chi brama violenta tocca, E uno sciame d'affetti in sen gli spunta, Ed il cor sopraffatto ne trabocca Inondato e sommerso, e l'alma fugge Su la fronte su gli occhi e su la bocca (11). Poi gridò: L'empia vive, e non l'adugge Il telo, che temuto è sì là giue? E 'l dolce lume ancor per gli occhi sugge (12)? Né pur la pena di sue colpe lue, Ma vive, e vive trionfante, e regna, Regna, e del frutto di sue colpe frue». «O tu», diss'io, «che sì contra l'indegna Ardi, che in crudeltate al mondo è sola, Spiegami il duol, che sì l'alma t'impregna». Più volte egli tentò formar parola, Ma sul cor ripiombò tronca la voce, Che il duol la sospingeva ne la gola; Sì come arretra il suo corno veloce, E spumeggia e gorgoglia onda restia, Se impedimento incontra in su la foce. Ma poi che vinse il duol la cortesia, E per le secche fauci il varco aperse, E fu spianata al ragionar la via, Gridò: «Tu vuoi ch'io fuor del seno verse Il duol, che tanto già mi punse e punge, Se pur si puote anco qua su dolerse. Ma in quale arena mai grido non giunge (13) Di sua nequizia, e de' fatti empi e rei? E sia pur, quanto esser si voglia, lunge. Io di sua crudeltà la prova fei, E giacqui ostia innocente in su l'arena, Per amor de la Patria e di Costei, Di ciò l'alma e la bocca ebbi ognor piena, Che a me fu sempre fida stella e duce, Ed or mi paga la sofferta pena. Poi che apparve un'incerta e dubbia luce Sovra l'Italia addormentata, e sparve, Onde la notte nereggiò più truce, E una benigna Libertade apparve, Che al duro appena ci rapì servaggio, Indi sparì, come notturne larve, Io corsi là, com'a un lontano raggio Correndo e ansando il pellegrin s'affretta Smarrito fra 'l notturno ermo viaggio. Ahi! breve umana gioja ed imperfetta! Venne, con l'armi no, con le catene Una ciurma di schiavi maladetta. E gli abeti secati a le Rutene Canute selve del Cumèo Nettuno Gravato il dorso, e ne radean le arene. Corse fremendo ed ululando il bruno Tartaro Antropofago, che per fame Spalanca l'atro gorgozzul digiuno. E l'Anglo avaro, che mercato infame Fa de le umane vite, e in quella sciarra Lo spinsero de l'or le ingorde brame. Né più i solchi radea sicula marra, Né più la falce, ma le verdi biade Mieteva la Cosacca scimitarra. E non bastar le peregrine spade; Che la Patria ancor essa, ahi danno estremo! Vomitò contra sé fiere masnade. Ahi che in pensando ancor ne scoppio e fremo! Qual dal carcer sboccato e qual dal chiostro Qual tolto al pastorale e quale al remo. Oh ciurma infame! e un porporato mostro Duce si fe' de le ribelli squadre, Celando i ferri sotto al fulgid'ostro. Costor le mani violente e ladre Commiser ne la Patria, e tuttaquanta D'empie ferite ricoprir la madre. Di Libertà la tenerella pianta Crollâr, sì come d'Eolo irato il figlio L'aereo pin da le radici schianta. Poscia un confuso regnava bisbiglio, Un sordo mormorar fra denti, ed una Paura, un cupo sovvolger di ciglio; Come allor che da lunge il ciel s'imbruna, Siede sul mar, che a poco a poco s'ange Una calma che annunzia la fortuna; Mentre cigola il vento, che si frange Tra le canne palustri, e cupo e fioco Rotto dai duri massi il fiotto piange. Ma surse irata la procella, poco Durò la calma e quel servir tranquillo; Sangue al pianto successe e ferro e foco. E l'aer muto ruppe acuto squillo Annunziator di stragi, e su la torre L'atro di morte sventolò vessillo. Il furor per le vie rabido scorre, E con grida i satelliti, e con cenni Incora e sprona, e a nova strage corre. Allor s'ode uno strider di bipenni, Un cupo scroscio di mannaje. Ahi come Oltre veder con questi occhi sostenni! Chi solo amò di Libertate il nome, O appena il proferì, dai sacri lati Strappato e strascinato è per le chiome. Ai casti letti venian que' sicari, Qual di lupi digiuni atro drappello, D'oro e di sangue e di null'altro avari. E invan le spose al violato ostello, Di lagrime bagnando il sen discinto, Fean con la debil man vano puntello; Ché fin fu il ferro, ahimé! cacciato e spinto Entro il seno pregnante: oh scelleranza! E il ferro, il ferro da l'orror fu vinto. Gli empi no, che con fiera dilettanza Pascean gli sguardi disiosi e cupi, E fean periglio di crudel costanza. E i pargoletti a que' feroci lupi Con un sorriso protendean le mani, Con un sorriso da spetrar le rupi. Ed essi: oh snaturati! oh in volti umani Tigri! col ferro rimovean l'amplesso, E fean le membra tenerelle a brani. Non era il grido ed il sospir concesso, Era delitto il lagrimar, delitto Un detto un guardo ed il silenzio istesso. 'Morte', gridava irrevocando editto. La coronata e la mitrata stizza L'avean col sangue d'innocenti scritto. Intanto a mille Eroi l'anima schizza Dal gorgozzule oppresso, e brancolando Il tronco informe su l'arena guizza. Anelando fremendo mugolando Gli spirti uscien da' straziati tronchi, Non il lor danno ma il comun plorando. Ivi sorgean duo smisurati tronchi, Cui l'adunato sangue era lavacro, E d'intorno eran membri e capi cionchi. Quinci era il tronco infame a morte sacro, Irto e spumoso di sanguigna gruma, Quindi stava di Cristo il simulacro; E il percotea la fluttuante schiuma, Che fea del sangue e de la tabe il lago, Che ferve e bolle e orrendamente fuma. Fiero portento allor si vide, un vago Spettro spinto da voglia empia ed infame, Lieto aggirarsi intorno al tristo brago. Avidamente pria fiutò 'l carname, E rallegrossi, e poi con un sogghigno Guatò de' semivivi il bulicame. Quindi il muso tuffò smilzo ed arcigno, E il diguazzò per entro a la fiumana, E il labbro si lambì gonfio e sanguigno. Come rabido lupo si distana, Se a le nati gli vien di sangue puzza, E ringhia e arrota la digiuna scana, E guata intorno sospicando, e aguzza Gli orecchi e ognor s'arretra in su i vestigi, Così colei, che di sua salma appuzza Le viscere cruente di Parigi, Rigurgitando velenosa bava, La barbara consorte di Luigi Venia, gridando: «Insana ciurma e prava, Che noi di crudi e di Tiranni incolpe, E al regno agogni, nata ad esser schiava, Godi or tuoi dritti, e de le nostre colpe Il fio tu paga», e sì dicendo morse Le membra, e rosicchiò l'ossa e le polpe. Indi da l'atro desco il grifo torse Gonfia di sangue già, ma non satolla, Quando novo spettacolo si scorse. Venia uno stuolo di Leviti, colla Faccia di rabbia e di furor bollente, E inzuppata di sangue la cocolla. Ciascun reca una coppa, e d'innocente Sangue l'empiero, e le posar su l'ara. E lo vide e 'l soffrì l'onnipossente! E disser: «Bevi», e fean quegli empi a gara. Danzava intorno oscenamente Erinni, E scoteva la cappa e la tiara. E i profani s'udian rochi tintinni De' bronzi, e l'aria, con le negre penne, Gl'infernali scotean diabolic'inni. Bramata alfine ed aspettata venne A me la morte, ed il supremo sfogo Compì su la mia spoglia la bipenne. Allora scossi l'abborrito giogo, E, l'ali aprendo a la seconda vita, Rinacqui alfin, come fenice in rogo. Ed ancor tace il mondo? ed impunita È la Tigre inumana, anzi felice, E temuta dal mondo e riverita? Deh vomiti l'accesa Etna l'ultrice (14) Fiamma, che la città fetente copra, E la penetri fino a la radice. Ma no: sol pera il delinquente: sopra Lei cada il divo sdegno, e sui diademi, Autori infami de l'orribil'opra. E fin da lunge ne' recessi estremi, Ove s'appiatta, e ne' covigli occulti L'oda l'empia tiranna, odalo e tremi. E disperata mora, e ai suoi singulti Non sia che cor s'intenerisca e pieghi, E a gli strazj perdoni ed a gli insulti, O dal ciel pace a l'empia spoglia preghi; Ma l'universo al suo morir tripudi, E poca polve a l'ossa infami neghi. E l'alma dentro a le negre paludi Piombi, e sien rabbia assenzio e fel sua dape, E tutto Inferno a tormentarla sudi, Se pur tanta nequizia entro vi cape». Canto quarto Tacque ciò detto e su l'enfiate labbia Gorgogliava un suon muto di vendetta, Un fremer sordo d'intestina rabbia. E le affollate intorno ombre, «Vendetta«» Gridâr, «vendetta», e la commossa riva Inorridita replicò 'Vendetta'. I torbid'occhi il crino a lui copriva; Fascio parea di vepri o di gramigna; Onde un'atra erompea luce furtiva; Come veggiamo il sol, se una sanguigna Nugola il raggio ne rinfrange, obbliqua Vibrar l'incerta luce e ferrugigna. Ahi di Tiranni ria semenza iniqua, De gli uomini nimica e di natura, Or hai pur spenta l'empia sete antiqua! Gonfia di sangue la corrente e impura Portò l'umil Sebeto, e de la cruda Novella Tebe flagellò le mura. Tigre inumana di pietate ignuda, Tu sopravvivi a' tuoi delitti? un Bruto Dov'è? chi 'l ferro a trucidarti snuda? Questi sensi io volgea per entro al muto Pensier, che tutto in quell'orror s'affisse, Allor che venne al mio veder veduto D'insubria il Genio, che le luci fisse In me tenendo, armoniosa e scorta Voce disciolse, e scintillando disse: «Mortal, quello che udrai là giuso porta». Deh! gli alti detti a la mal ferma e stanca Mente richiama, o Musa, e mi sia scorta. Tu la cadente poesia rinfranca, Tu la rivesti d'armonia beata, E tu sostieni la virtù, che manca; Tu l'ali al pensier presta, o Diva nata Di Mnemosine, e fa che del mio plettro Esca la voce ai colti orecchi grata, E spargi i detti miei d'eterno elettro. «Già», proseguia, «del real potere Sei sciolta Insubria, e infranto hai l'empio scettro. Che gli ubertosi colli e le riviere, Ove Natura a sé medesma piace, No che non son per le Tedesche fiere. Pace altra volta tu le desti, pace, O Tiranno, giurasti, e udir le genti Il real giuro, e lo credean verace. Ma di Tiranno fede i sacramenti Frange e calpesta, e la legge de' troni Son gl'inganni i spergiuri i tradimenti. Venne in fin dai settemplici trioni, Da te chiamato, e da le fredde rupi Un torrente di bruti e di ladroni. Come in aperto ovile iberni lupi, Tal su l'Insubria si gittar quegli empi, Di sangue ghiotti, di rapine e strupi. Fino i sacri vestibuli di scempi Macchiaro, e d'adulteri. Oh quali etati Fur mai feconde di siffatti esempi? Ma non fur quegli insulti invendicati, Né il vizio trionfò: l'infame tresca Franse il ferro e 'l valor: gli addormentati Spirti destarsi alfine, e la Tedesca Rabbia fu doma, e le fiaccò le corna La virtù Cisalpina e la Francesca. Torna, arrogante a questi lidi, torna; Qui roco ancor di morte il telo romba, Qui la tua morte appiattata soggiorna. Qui il cavo suol de' sepolcri rimbomba De la tua pube, che ancor par che gema; Vieni in Italia, e troverai la tomba. Altra volta scendesti avido, e scema Ti fu l'audacia temeraria e sciocca: Rammenta i campi di Marengo, e trema. Che la fatal misura ancor trabocca; Non aspettar de la vendetta il die, Il dì che impaziente è su la cocca. Pace avesti pur anco, e questa fie La novissima volta; in l'alemanno Confin le tigri tue frena e le arpie. Ma tu misera Insubria, d'un Tiranno Scotesti il giogo, ma t'opprimon mille. Ahi che d'uno passasti in altro affanno! Gentili masnadieri in le tue ville Succedettero ai fieri, e a genti estrane Son le tue voglie e le tue forze ancille. Langue il popol per fame, e grida: 'Pane'; E in gozzoviglia stansi e in esultanza Le Frini e i Duci, turba, che di vane Larve di fasto gonfia e di burbanza, Spregia il volgo, onde nacque, e a cui comanda, A piena bocca sclamando: 'Eguaglianza'. Il volgo, che i delitti e la nefanda Vita vedendo, le prime catene Sospira, e 'l suo Tiranno al ciel domanda. De l'inope e del ricco entro le vene Succian l'adipe e 'l sangue, onde Parigi Tanto s'ingrassa, e le midolle ha piene. E i tuoi figli? i tuoi figli abbietti e ligi Strisciangli intorno in atto umile e chino. E tal di risse amante e di litigi D'invido morso addenta il suo vicino, Contra il nemico timido e vigliacco, Ma coraggioso incontro al cittadino. Tal ne' vizj s'avvolge, come ciacco Nel lordo loto fa; soldato esperto Ne' conflitti di Venere e di Bacco. E tal di mirto al vergognoso serto Il lauro sanguinoso aggiunger vuole, Ricco d'audacia, e povero di merto. Tal pasce il volgo di sonanti fole. Vile! e di patrio amor par tutto accenso, E liberal non è che di parole. E questi studio d'allargare il censo Avito rode, e quel tal altro brama Di farsi ricco di tesoro immenso. Senti costui, che, 'Morte morte' esclama, E le vie scorre, furibonda Erinni, Di sangue ingordo, e dove può si sfama. Vedi quei, che sua gloria nei concinni Capei ripone. Oh generosi Spirti, Degni del giogo estranio e de' cachinni! Odimi Insubria. I dormigliosi spirti Risveglia alfine, e da l'olente chioma Getta sdegnosa gli acidalj mirti. Ve' come t'hanno sottomessa e doma, Prima il Tedesco e Roman giogo, e poi La Tirannia, che Libertà si noma. Mira le membra illividite, e i tuoi Antichi lacci, l'armi l'armi appresta, Sorgi, ed emula in campo i Franchi Eroi. E a l'elmo antico la dimessa cresta Rimetti, e accendi i neghittosi cori E stringi l'asta ai regnator funesta Come destrier, che fra l'erbette e i fiori, Placido, in diuturno ozio recuba, Sol meditando vergognosi amori, Scote nitrendo la nitente giuba, Se il torpido a ferirgli orecchio giugne Cupo clangor di bellicosa tuba, E stimol fiero di gloria lo pugne, Drizza il capo, e l'orecchio al suono inchina. E l'indegno terren scalpe con l'ugne. Contra i Tiranni sol la cittadina Rabbia rivolgi, e tienti in mente fiso, Che fosti serva, ed or sarai reina». Disse e tacque, raggiandomi d'un riso, Che del mio spirto superò la forza, Così, ch'io ne restai vinto e conquiso. Mi scossi, e la rapita anima a forza, Come chi tenta fuggire, e non puote, Cacciata fu ne la mortale scorza. Io restai come quel che si riscote Da mirabile sogno, che pon mente Se dorme o veglia, e tien le ciglia immote. O Pieride Dea, che 'l foco ardente Ispirasti al mio petto, e i sempiterni Vanni ponesti a la gagliarda mente, Tu, Dea, gl'ingegni e i cor reggi e governi, E i nomi incidi nel Pierio legno, Che non soggiace al variar de' verni. Tu l'ali impenni al Ferrarese ingegno, Tu co' suoi divi carmi il vizio fiedi, E volgi l'alme a glorioso segno. Salve, o Cigno divin, che acuti spiedi Fai de' tuoi carmi, e trapassando pungi La vil ciurmaglia, che ti striscia ai piedi. Tu il gran Cantor di Beatrice aggiungi, E l'avanzi talor; d'invidia piene Ti rimiran le felle alme da lungi, Che non bagnar le labbia in Ippocrene, Ma le tuffar ne le Stinfalie fogne, Onde tal puzzo da' lor carmi viene. Oh limacciosi vermi! Oh rie vergogne De l'arte sacra! Augei palustri e bassi; Cigni non già, ma corvi da carogne. Ma tu l'invida turba addietro lassi, Le robuste penne ergendo, come Aquila altera, li compiangi, e passi. Invano atro velen sovra il tuo nome Sparge l'invidia al proprio danno industre Da le inquiete sibilanti chiome. Ed io puranco, ed io vate trilustre, Io ti seguo da lunge, e il tuo gran lume A me fo scorta ne l'arringo illustre. E te veggendo su l'erto cacume Ascender di Parnaso alma spedita, Già sento al volo mio crescer le piume. Forse, oh che spero! io la seconda vita Vivrò, se a le mie forze inferme e frali Le nove Suore porgeranno aita. Ma dove mi trasporti, estro? mortali Son le mie penne, e periglioso il volo, Alta e sublime è la caduta, l'ali Però raccogli, e riposiamoci al suolo. Questi versi scriveva io Alessandro Manzoni nell'anno quindicesimo dell'età mia, non senza compiacenza, e presunzione di nome di Poeta, i quali ora con miglior consiglio, e forse con più fino occhio rileggendo, rifiuto; ma veggendo non menzogna, non laude vile, non cosa di me indegna esservi alcuna, i sentimenti riconosco per miei; i primi come follia di giovanile ingegno, i secondi come dote di puro e virile animo. Il quindicenne Manzoni, nel suo poemetto intitolato: Il Trionfo della libertà, ci dà l'aspetto di un generoso aquilotto che vuol tentare il primo suo volo. Egli sente già le ali che gli battono i fianchi generosi, ma ignora ancora quale via terrà. Si capisce già che egli ambisce volar alto, quando invoca la sua Musa, perchè rinfranchi la cadente poesia italiana, perchè sostenga la virtù che vien meno: Tu la cadente poesia rinfranca, Tu la rivesti d'armonia beata, E tu sostieni la virtù che manca; mirabili versi per un poeta di quindici anni che esce dalle scuole de' frati e da un secolo cicisbeo educato fra le canzonette del Metastasio e del Frugoni; ma il giovinetto non ha ancora potuto pensare a crearsi una propria forma letteraria. Noi vediamo nel suo Trionfo piuttosto la destrezza di un forte ingegno imitatore, nutrito di buoni studii, che gl'indizii del più originale fra i nostri scrittori moderni. Egli ha già studiato molto, e incomincia a sentire gagliardamente, ma gli manca ancora l'abitudine, che fa grande l'artista, di meditare lungamente sopra i suoi sentimenti ed il proposito virile di esprimerli con naturalezza. Si sente già in parecchi versi il fremito di un'anima ardente, ma il paludamento del poeta è ancora tutto classico. Qualche indizio di originalità lo troviamo, appena, in que' passi, ove il poeta abbassa la tonante terzina ad uno stile più umile, vinto dalla propria urgente natura satirica. Egli incomincia allora ad esercitare la più difficile e la più utile di tutte le critiche, quella che uno scrittore intraprende sopra sè stesso, temperando talora l'iperbole di alcune immagini sproporzionate. Dopo avere, per esempio, dantescamente imprecato contro la città di Catania, onde era partito l'ordine regio delle stragi napoletane, dopo aver fatto invito tremendo all'Etna, perchè getti fuoco e cenere sopra tutta la città, il Poeta s'accorge da sè stesso che sarebbe troppo castigo, e che non si può per un solo reo punire tutto un popolo innocente; dominato però da quel sentimento della giusta misura così raro nell'arte, e pel quale appunto egli divenne poi artista così eccellente, modera e corregge l'imprecazione, trasportandola sopra il solo capo della regina Carolina: Deh! vomiti l'acceso Etna l'ultrice Fiamma, che la città fetente copra E la penetri fino a la radice. Ma no; sol pèra il delinquente; sopra Lei cada il divo sdegno, e sui diademi, Autori infami de l'orribil'opra. E fin da lunge e nei recessi estremi, Ove s'appiatta, e ne' covigli occulti L'oda l'empia tiranna, odalo e tremi. In altri passi del poema pare affacciarsi direttamente il poeta satirico, ossia incominciarsi a rivelare uno de' caratteri più specifici dell'ingegno manzoniano. L'attitudine de' Lombardi innanzi al Francese arrivato come liberatore, e dominante come padrone, non contenta il giovine Poeta, anzi gli muove la bile; rivolto pertanto all'Italia, egli le domanda che cosa facciano i suoi figli, per rispondere tosto: ...... I tuoi figli abbietti e ligi Strisciangli intorno in atto umile e chino; E tal, di risse amante e di litigi, D'invido morso addenta il suo vicino, Contra il nemico timido e vigliacco, Ma coraggioso incontro al cittadino. Tal ne' vizii s'avvolge, come Ciacco Nel lordo loto fa; soldato esperto Ne' conflitti di Venere e di Bacco. E tal di mirto al vergognoso serto Il lauro sanguinoso aggiunger vuole, Ricco d'audacia e povero di merto. Tal pasce il volgo di sonanti fole, Vile, di patrio amor par tutto accenso, E liberal non è che di parole. Un giovinetto capace di scrivere tali versi annunzia non solo un ingegno precoce, ma ancora una precoce e formidabile esperienza della vita. Biblioteca IntraText Il trionfo della libertà - canto secondo
Postato da Grazia01 il Martedì, 21 giugno @ 20:53:36 CEST (1232 letture)
![]() cantinua da ![]() Dipinto - Allegoria dell'Italia sottomessa o della libertà occupata Sevaistre, Eugène Canto secondo Col pensier con gli orecchi e con le ciglia I' era immerso in quell'altera vista, Come colui che tace e maraviglia; Qual dicon che de' spirti in fra la lista Stesse mirando le magiche note Il furente di Patmo Evangelista (7). Quand'io vidi la Dea, che su l'immote Maladette sorelle il cocchio spinse, E su le infami cigolar le rote, Primamente un terror freddo mi strinse, Poi surse in petto con subita forza La letizia, che l'altro affetto estinse. IL TRIONFO DELLA LIBERTA’ -Canto primo
Postato da Grazia01 il Domenica, 19 giugno @ 19:04:41 CEST (1577 letture)
![]() IL TRIONFO DELLA LIBERTA’ ![]() Delacroix - La libertà che guida il popolo, Louvre Parigi Canto primo Coronata di rose e di viole Scendea di Giano a rinserrar le porte La bella Pace pel cammin del sole, E le spade stringea d'aspre ritorte, E cancellava con l'orme divine I luridi vestigi de la morte; E la canizie de le pigre brine Scotean dal dorso, e de le verdi chiome Si rivestian le valli e le colline. Avvento - 8 dicembre 2007
Postato da Grazia01 il Sabato, 08 dicembre @ 09:14:23 CET (945 letture)
Regala ciò che hai....di Alessandro Manzoni
Postato da Grazia01 il Giovedì, 22 febbraio @ 13:02:40 CET (2709 letture)
![]() ![]() Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo. Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino. Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi, la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo. Illuminali dal tuo buio. Arricchiscili con la tua povertà. |
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